Ormai solo 30 delle 7000 varietà selezionate dall’uomo forniscono il 95% degli alimenti. Se ne è parlato nell’aprile scorso in Cascina Darsena in occasione di un evento promosso dal Gruppo “Neorurale” insieme a CCPB

Da “Punto di Vista” di giugno/luglio 2017

Giussago (PV) – Praticare un’agricoltura sostenibile che si ponga al servizio delle future generazioni garantendo al contempo il mantenimento della bio-diversità: è stato questo il tema al centro del convegno “Misurare la bio-diversità negli ecosistemi per un’agricoltura che pensa al futuro” svolto mercoledì 5 aprile al Centro Congressi in Cascina Darsena, evento promosso dal Gruppo “Neorurale” insieme a CCPB, organismo di certificazione e controllo dei prodotti agroalimentari e no-food di tipo biologico, eco-compatibile ed eco-sostenibile.

Al saluto di Giuseppe Natta hanno fatto seguito gli interventi di Gilberto Garuti e Alberto Massa Saluzzo (“Neorurale”) e di Fabrizio Piva (amministratore delegato di CCPB) anticipando i qualificati relatori sul tema della biodiversità e della protezione della natura, fra i quali Alessandra Stefani, Anna Benedetti, Stefano Brenna, Davide Giuliano, Elisa Cardarelli, Mauro Piazzi e Giuseppe Maio, moderati da Claudia Sorlini. All’iniziativa, terminata con l’intervento di Angelo Zucchi (capo segreteria del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali) hanno partecipato anche alcune rappresentanze di Legambiente e WWF.

Secondo gli esperti riuniti alla Darsena, l’agricoltura e la bio-diversità dovrebbero essere considerati un binomio sempre più inscindibile: lo sviluppo della moderna agricoltura, infatti, ha prodotto notevoli cambiamenti nelle campagne con effetti sulla qualità del cibo, sull’ambiente e sul paesaggio, creando purtroppo ricadute negative sulla bio-diversità e sugli equilibri ambientali. Inoltre l’impoverimento ambientale ha comportato un degrado nella funzionalità degli ecosistemi e nelle interrelazioni che esistono tra organismi e ambienti naturali.

La soluzione emersa dal convegno per vincere le sfide dell’agricoltura del futuro in un mondo segnato dai cambiamenti climatici sarà sempre di più il ripristino di agroecosistemi equilibrati, stabili e ricchi di vita grazie all’applicazione di concimi organici e ad una lavorazione dei terreni attenta alle necessità del suolo (tecniche di agricoltura conservativa) attraverso i quali conciliare produttività, ecologia e tutela delle risorse naturali.

BIODIVERSITA’ A RISCHIO

Ciò che definiamo con il termine agricoltura rappresenta di fatto «una forzatura operata sul naturale equilibrio biologico e sull’ecosistema. La modernizzazione dell’agricoltura operata dagli inizi del Novecento ha prodotto notevoli cambiamenti nel tessuto delle campagne, e l’impiego di prodotti chimici e di petrolio, nonché l’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica, hanno rivoluzionato l’intero processo produttivo». E’ stato con queste parole che Gilberto Garuti, responsabile del settore ricerca e sviluppo dell’azienda “Acqua & Sole” ha introdotto il suo intervento al convegno in Cascina Darsena il 5 aprile scorso.

«Il ciclo produttivo si è orientato verso la specializzazione in modo da massimizzare le rese e la produzione con l’obiettivo di incrementare al massimo il profitto», ha spiegato. «Per far questo, sono stati rimossi tutti gli elementi considerati non produttivi o di impedimento alla produzione come siepi, alberi, arbusti, zone umide e via dicendo, elementi naturali che da sempre hanno svolto un ruolo ecologico fondamentale, e sono determinanti al fine di ridurre l’impatto operato dall’uomo sull’ambiente attraverso la pratica agricola. Oggi si parla di “servizio” che queste aree naturali (fasce boscate, siepi, inerbimenti, zone umide) svolgono a favore dei processi naturali e della stabilità ecologica di una determinata area, mentre le siepi o le fasce boscate vengono definite infrastrutture ecologiche per via della loro funzione all’interno dell’ecosistema».

Tramite la specializzazione operata dall’agricoltura industriale (foto) «ci si è dimenticati di assecondare i processi naturali riducendo di molto la biodiversità, arrivando a banalizzare il paesaggio e l’intero contesto agricolo che è diventato sempre più omogeneo e monotono», ha proseguito, «mentre non va dimenticato che alla base dei sistemi viventi vi sono proprio complessità e diversificazione, e che questa complessità determina equilibrio e capacità di resistere a stress e avversità senza subire danni o alterazioni sfavorevoli (resilienza)».

Oggi sappiamo che la mancanza di biodiversità comporta un degrado nella funzionalità degli ecosistemi e che per questo risultano fondamentali le interrelazioni che intercorrono tra organismi e ambiente. «Queste relazioni comportano notevoli benefici, e grazie ad esse emergono nuove proprietà utili al mantenimento della vita», ha aggiunto Garuti. «Dunque questa biodiversità va tutelata e garantita poiché diventa funzionale al mantenimento di un equilibrio tra organismi dannosi e utili».

Con la moderna agricoltura industriale, purtroppo, sono venute a crearsi forti unilateralità ed è venuto meno anche il numero di specie coltivate, oltre al numero di varietà all’interno di una stessa specie, a favore di poche varietà più produttive: «Oggi solo 30 specie delle 7000 domesticate in 10-12mila anni di storia dell’agricoltura forniscono il 95% della domanda globale di alimenti e più del 75% della biodiversità del pianeta è andata perduta nel XIX Secolo, secondo i dati della FAO del 2010», ha sottolineato il responsabile di “Acqua & Sole”.

Inoltre, il ricorso all’uso di pesticidi di sintesi contribuisce ad accentuare ulteriormente gli squilibri ambientali, oltre al danno diretto ambientale. «Ma ciò che è avvenuto al di sopra del suolo in maniera mirata (con la riduzione delle specie naturalmente presenti) è avvenuto anche nel sottosuolo a causa dell’uso di fertilizzanti di sintesi, pesticidi, diserbanti, senza un adeguato reintegro di sostanza organica (ad esempio tramite humus e sovesci) con conseguenze negative sul processo di umificazione».

Risultato: in molti casi il terreno agrario è divenuto un ambiente semi-sterile e, di conseguenza, nel contesto agrario si sono create condizioni favorevoli all’espansione di parassiti e malattie sempre più virulente e invasive. «E ci si è dimenticati delle relazioni essenziali tra l’apparato radicale delle piante e il suolo», conclude Gilberto Garuti; «Queste relazioni sono espressione dei cicli biologici e vitali, e sono necessarie per il corretto funzionamento della pianta e lo sviluppo radicale. Se la radice “lavora bene” poi la pianta potrà svilupparsi correttamente per arrivare a produrre cibo sano e di qualità. Per poter lavorare al meglio la radice necessita della complessità e abbondanza di organismi naturalmente presenti nel terreno: sarà dunque compito dell’agricoltore attento garantire questa complessità assecondando il processo naturale».

In allegato un’immagine relativa alla notizia in oggetto.

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